L’acqua proveniente dai sistemi di drenaggio sarà impiegata per contrastare la siccità, conformemente alle disposizioni della recente normativa dell’Unione Europea

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L'acqua proveniente dai sistemi di drenaggio sarà impiegata per contrastare la siccità, conformemente alle disposizioni della recente normativa dell'Unione Europea

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane è stata approvata. Le imprese farmaceutiche e cosmetiche saranno responsabili dell’80% delle spese relative all’eliminazione delle sostanze inquinanti provenienti dalle loro attività produttive.

 

Le disposizioni relative alle acque reflue urbane stanno subendo modifiche significative, focalizzandosi principalmente sulla raccolta, il trattamento e lo scarico delle stesse. Gli accordi sono stati raggiunti tra i negoziatori del Parlamento e del Consiglio in merito alle nuove normative proposte dalla Commissione a ottobre 2022, le quali stabiliscono obiettivi aggiornati per migliorare la qualità delle acque e ridurre l’impatto ambientale. Tra le innovazioni introdotte dalla legge, in particolare attraverso una direttiva specifica, c’è l’inclusione del riutilizzo delle acque, previa depurazione adeguata, per affrontare il problema della siccità. Inoltre, le imprese farmaceutiche e cosmetiche saranno tenute a coprire fino all’80% delle spese per la depurazione delle acque inquinanti prodotte dalle loro attività.

La direttiva stabilisce nuovi obiettivi per il trattamento graduato delle acque reflue, sia in termini temporali che in base alle dimensioni degli insediamenti urbani. Inizialmente, entro il 2035, il trattamento secondario (ossia la rimozione della materia organica biodegradabile dalle acque urbane prima dello scarico nell’ambiente) dovrà essere esteso a tutti i centri abitati con almeno 1000 abitanti equivalenti (a.e.), superando così la precedente soglia di 2000 a.e.

Il 2039 rappresenta la scadenza per l’applicazione del trattamento terziario (ulteriore rimozione di azoto e fosforo), obbligatorio per tutti gli impianti che servono almeno 150mila a.e. Entro il 2045, questo requisito sarà esteso a tutti gli impianti che coprono almeno 10mila a.e. A partire da questa data, gli impianti che servono 10mila a.e. o più dovranno anche adottare il trattamento quaternario, che prevede la rimozione di un ampio spettro di microinquinanti.

Le nuove norme migliorano anche il monitoraggio delle acque reflue, richiedendo la ricerca di agenti patogeni aggiuntivi (come il virus della SARS-CoV-2 e le sue varianti, i virus influenzali e il poliovirus) e inquinanti, compresi i cosiddetti inquinanti perenni come le PFAS (per- e polifluoroalchiliche) e le microplastiche. La resistenza antimicrobica sarà inoltre oggetto di monitoraggio nelle acque reflue degli insediamenti superiori a 100mila a.e.

Il testo concordato stabilisce anche obiettivi di neutralità energetica, impegnando gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane ad aumentare gradualmente la percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili: 20% entro la fine del decennio, 40% entro il 2035, 70% entro il 2040, con l’obiettivo di raggiungere il 100% entro il 2045.

Le recenti disposizioni obbligano gli Stati membri a promuovere, quando appropriato, l’adozione del riutilizzo delle acque reflue trattate provenienti da tutti i sistemi di trattamento, particolarmente nelle regioni sottoposte a stress idrico. Per concretizzare il principio sottostante al Green Deal, che sostiene il concetto del “chi inquina paga”, la nuova direttiva introduce anche la responsabilità estesa del produttore (EPR, acronimo inglese) per prodotti cosmetici e farmaceutici destinati all’uso umano. In tale contesto, le imprese di questi settori saranno tenute a coprire almeno l’80% dei costi relativi alla rimozione dei microinquinanti derivanti dalle loro produzioni, mentre il restante 20% sarà finanziato a livello nazionale.