I profitti destinati agli artisti su Spotify sono inferiori al 10%, risultando in una remunerazione insufficiente per i musicisti

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I profitti destinati agli artisti su Spotify sono inferiori al 10%, risultando in una remunerazione insufficiente per i musicisti

Nel 2017, si è verificato un importante cambiamento quando i ricavi generati dalle piattaforme di streaming come Spotify e Apple Music hanno superato per la prima volta quelli provenienti dai tradizionali canali di vendita fisica nell’industria musicale. Da allora, tali ricavi hanno registrato una crescita tripla, contribuendo a revitalizzare un settore che aveva sperimentato una crisi con l’avvento del digitale. Attualmente, il mercato, che fino all’inizio del nuovo millennio era praticamente inesistente, genera un volume d’affari di 17 miliardi di dollari, rappresentando il 65% degli incassi globali. Tuttavia, agli artisti giunge solo una frazione minima di tali guadagni, un problema che il Parlamento europeo sta cercando di risolvere attraverso l’aumento dei compensi per autori, band e cantanti.

Per quanto riguarda lo streaming musicale, uno studio commissionato dalla stessa Eurocamera evidenzia l’opacità che circonda questo settore, partendo dagli algoritmi che regolano il funzionamento delle piattaforme e che influenzano l’esperienza degli utenti, come nel consigliare brani, autori e generi simili agli ascolti preferiti dei consumatori. Tali meccanismi, gestiti da macchine, sono diventati così centrali che la competizione si è spostata dalla produzione di contenuti alla creazione di interfacce ed esperienze sempre più coinvolgenti.

I profitti destinati agli artisti su Spotify sono inferiori al 10%, risultando in una remunerazione insufficiente per i musicisti
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Le entrate degli artisti

Come per molte altre cose, il boom dello streaming online, che offre agli utenti un accesso potenzialmente illimitato a un costo ragionevole, ha anche il suo lato negativo. La maggior parte dei creatori, compresi artisti, autori ed esecutori di contenuti disponibili a prezzi convenienti su queste piattaforme, guadagna in realtà solo una somma limitata dai materiali caricati, principalmente sotto forma di royalties, cioè i diritti d’autore.

Ogni piattaforma utilizza criteri diversi per determinare la remunerazione media degli autori. Ad esempio, Spotify trattiene il 30% e restituisce il 70% agli artisti, mentre Apple Music restituisce il 52%. Tuttavia, va notato che queste somme non arrivano integralmente nelle tasche degli autori. La percentuale effettivamente incassata da loro dipende dagli accordi stipulati con le etichette discografiche e le case di produzione, accordi che, simili al mercato “analogico”, tendono a favorire i detentori dei diritti (le etichette) rispetto ad autori, compositori e musicisti. In media, le etichette ottengono circa il 55% delle entrate, mentre agli artisti spetta meno del 10%.

I profitti destinati agli artisti su Spotify sono inferiori al 10%, risultando in una remunerazione insufficiente per i musicisti
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Per quanto riguarda i guadagni derivanti dalle piattaforme, che provengono sia dalla pubblicità che dagli abbonamenti e costituiscono essenzialmente il compenso per gli artisti, vengono generalmente calcolati attraverso tariffe pro-rata basate sugli stream, ovvero le riproduzioni di contenuti audiovisivi. Per i brani musicali, affinché uno stream sia considerato valido, deve durare almeno 30 secondi.

Le tariffe variano tra le diverse piattaforme: Tidal riconosce in media 0,012 euro per ogni stream valido (quindi sono necessari 83 ascolti per ottenere un euro), Apple Music 0,009 euro (112 stream per un euro), Amazon Music 0,0036 euro (278 ascolti per un euro) e Spotify 0,003 euro (ossia un euro dopo 334 stream). È importante notare che queste cifre possono variare in base a diversi fattori, tra cui il totale degli stream sulla piattaforma, l’influenza delle etichette e la popolarità degli artisti.

In risposta alle richieste delle associazioni di creatori musicali, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione il 17 gennaio, chiedendo all’Unione europea di correggere l’ampio squilibrio presente nel mondo dello streaming musicale. Si propone di introdurre un quadro giuridico europeo che riconsideri i parametri per definire le royalties, garantendo una remunerazione più equa per tutti gli autori, poiché il modello attuale favorisce ampiamente gli artisti più popolari.

Un modello alternativo potrebbe essere il sistema di pagamento incentrato sull’utente (UCPS), in cui i ricavi generati dagli ascolti di un utente andrebbero direttamente agli artisti ascoltati, anziché essere inclusi in un fondo globale distribuito in base agli stream. Con questo modello, gli utenti pagherebbero solo per la musica che effettivamente ascoltano. Secondo le stime del Parlamento, il passaggio a questo modello genererebbe una riallocazione di almeno 170 milioni di euro all’anno solo su Spotify.

Tuttavia, va notato che i trend di mercato indicano un aumento degli artisti indipendenti che optano per l’autoproduzione, senza passare attraverso etichette e intermediari, cercando un equilibrio tra una retribuzione più equa e una minore visibilità.

La risoluzione critica anche i cosiddetti sistemi “payola”, che coinvolgono accordi tra autori ed emittenti, in cui i diritti su determinati materiali audiovisivi vengono ceduti alle emittenti in blocco con una transazione una tantum. Si sottolinea la necessità di norme più stringenti per identificare con precisione i titolari dei diritti e specificare meglio i metadati relativi ai vari contenuti disponibili.

Intelligenza Artificiale

Un’altra tematica fondamentale riguarda l’intelligenza artificiale (IA). L’assemblea parlamentare desidera introdurre l’obbligo per le piattaforme di aumentare la trasparenza riguardo agli algoritmi che gestiscono, tra le altre cose, le raccomandazioni musicali per gli utenti. L’obiettivo principale è prevenire pratiche sleali, come la manipolazione delle statistiche sulle riproduzioni degli artisti, un’azione sospettata di essere utilizzata dalle piattaforme per compensare in modo insufficiente gli artisti.

Variegata Espressione Musicale

Tuttavia, ci si trova su un terreno delicato, poiché tali meccanismi costituiscono parte integrante dei prodotti commerciali delle aziende coinvolte e, quindi, sono soggetti alle norme sulla proprietà intellettuale.

Inoltre, i membri del Parlamento europeo desiderano introdurre un’etichetta simile a quella presente sulle copertine di dischi, cassette e CD, come il “parental advisory” che avvisava su contenuti espliciti. Questa etichetta sarebbe destinata alle canzoni generate dall’IA, un fenomeno che sta emergendo sulle piattaforme di streaming musicale con il proliferare dei deepfake, contenuti creati artificialmente dai computer che utilizzano identità, voci e sembianze degli autori senza il loro consenso.

Riguardo alla diversità musicale, i deputati ritengono che le attuali modalità di streaming contribuiscano a deprimere questa diversità. Queste modalità, come già menzionato, favoriscono le etichette più ricche e gli artisti già famosi, riducendo l’esposizione di stili, lingue e autori al di fuori delle classifiche principali.

Per affrontare questa problematica, che, va notato, ha caratterizzato il mondo della musica anche prima dell’era digitale, si propone l’istituzione di “indicatori specifici di diversità” per mappare la vasta gamma di generi e lingue disponibili. Parallelamente, si suggerisce di sviluppare una strategia musicale europea per promuovere la diversità e sostenere gli artisti indipendenti di minori dimensioni.

L’intervento normativo dell’Unione europea risulterebbe cruciale anche per garantire visibilità e accessibilità a “opere musicali europee” non meglio specificate, magari introducendo quote volte a incentivare l’ascolto di tali produzioni sulle piattaforme di streaming.