Di ogni 100 euro spesi, 32 euro sono destinati alle operazioni logistiche, mentre solo 5 euro vanno direttamente ai produttori effettivi

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Di ogni 100 euro spesi, 32 euro sono destinati alle operazioni logistiche, mentre solo 5 euro vanno direttamente ai produttori effettivi

Il malcontento degli agricoltori: nonostante l’impennata dei prezzi degli alimentari, i redditi degli agricoltori rimangono modesti, e le spese sono numerose. Benché il 30% del loro reddito provenga da finanziamenti pubblici, sono pochi coloro che effettivamente ne beneficiano.

 

Di ogni 100 euro spesi, 32 euro sono destinati alle operazioni logistiche, mentre solo 5 euro vanno direttamente ai produttori effettivi
Un manifesto esposto lungo le strade durante le proteste degli agricoltori nel Nord Italia nel gennaio 2024. Fonte: X

 

Una catena complessa

Secondo uno studio dell’Associazione Distribuzione Moderna del 2019, il denaro legato al settore alimentare viene suddiviso tra numerosi attori. Su ogni 100 euro spesi per l’alimentazione in Italia, il 32,8% va ai fornitori di logistica, packaging e servizi, il 31,6% al personale coinvolto nella filiera, il 19,9% alle casse dello Stato, l’8,3% ai fornitori di macchinari e immobili, e l’1,2% alle banche. Solo il 5,1% ritorna alla filiera agroalimentare. Ciò implica che poco più di 5 euro su 100 rimanenti devono essere distribuiti tra l’industria di trasformazione alimentare (43,1%), gli intermediari (19,6%), la distribuzione (11,8%) e la ristorazione (7,8%). Gli agricoltori, che hanno prodotto il bene alimentare, ricevono solamente il 17,7%.

Questa catena di produzione alimentare, sebbene complessa e ricca di ostacoli, vede gli agricoltori come i primi a “cadere” e a chiudere, nonostante la loro indispensabilità. È da qui che scaturisce la loro rabbia, manifestata attraverso proteste che si sono diffuse in molte parti dell’Europa.

Di ogni 100 euro spesi, 32 euro sono destinati alle operazioni logistiche, mentre solo 5 euro vanno direttamente ai produttori effettivi

Le compensazioni finanziarie nelle diverse aree della filiera agroalimentare in base al settore. Fonte: Studio Ambrosetti

 

La protesta a Bruxelles

Il 1 febbraio, gli agricoltori europei hanno esasperato la loro rabbia a Bruxelles, incendiando copertoni, abbattendo una statua e occupando le strade con i loro imponenti trattori. Questo atto è seguito a settimane di blocchi, tensioni, lamentele e accuse diffuse in vari Paesi europei, dove i produttori alimentari hanno pagato un prezzo elevato tra le sfide del Covid, la guerra in Ucraina e le speculazioni del mercato. L’irritazione degli agricoltori è stata rivolta verso i governi nazionali e l’Unione europea, ma dietro la crescente povertà nelle zone rurali si celano numerosi altri fattori e attori.

Alessandro Rosso, un agricoltore piemontese presente a Bruxelles con una delegazione regionale della Coldiretti, ha evidenziato il dilemma: “Nel 2022 vendevamo il frumento tenero a 350 euro a tonnellata, nel 2023 è sceso a circa 260 euro. Guadagniamo di meno, ma i costi degli input agricoli come fertilizzanti, pesticidi e macchinari agricoli sono aumentati almeno del 10 per cento”.

La Coldiretti, inizialmente critica nei confronti dei manifestanti, ha poi deciso di unirsi alle proteste portando migliaia di imprenditori agricoli a Bruxelles. La loro voce unanime si è levata contro le regole imposte dall’Europa, i limiti ambientali della nuova Politica Agricola Comune (PAC), la burocrazia e altri aspetti critici.

A chi realmente approdano i fondi europei

Le preoccupazioni espresse dagli agricoltori sono condivise dalla Copa-Cogeca, il potente sindacato agricolo europeo, che accusa la Commissione europea di tagliare i sussidi e introdurre troppe regole ambientali a discapito della produzione. Tuttavia, altre organizzazioni offrono una prospettiva diversa.

Antonio Onorati, contadino e rappresentante dell’Associazione Rurale Italiana, sottolinea: “I fondi pubblici costituiscono circa il 30 per cento dei redditi degli agricoltori, ma tendono a concentrarsi nelle mani di poche grandi imprese e consorzi. La nuova ‘politica agricola comune’ aveva proposto una redistribuzione di queste risorse verso i piccoli produttori e quelli delle comunità montane, ma le potenti organizzazioni agricole hanno ostacolato questa svolta.”

Questa analisi è supportata dai dati, sia a livello europeo che italiano. Nel 2017, un rapporto della Rete di Informazione Contabile Agricola (Rica) ha rivelato che il 20 per cento delle realtà agricole, inclusi consorzi ed enti di ricerca, raccoglie oltre l’80 per cento dei fondi, con punte del 95 per cento in alcune Regioni. La Direzione Generale di Contabilità dell’UE ha confermato che i sussidi europei si concentrano tra i 50 maggiori beneficiari in ciascuno degli Stati membri, sia della PAC che dei Fondi di Coesione. In Italia, ad esempio, nel 2019, un singolo beneficiario, la F.IN.A.F. – First International Association Fruit, ha ricevuto 32 milioni di euro all’anno. Questa associazione comprende oltre 9mila agricoltori che coltivano e commercializzano ortofrutta fresca e trasformata tra Francia ed Italia, sotto l’egida di marchi della grande distribuzione.

Sopravvivere con un reddito di 700 euro al mese

Per coloro che non hanno accesso a consistenti finanziamenti pubblici, la fine del mese può significare avere a disposizione soltanto 700 euro, specialmente nelle regioni come la Sardegna e la Valle d’Aosta. Le entrate più sostanziali si riscontrano in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte, dove le aziende agricole hanno saputo associarsi in consorzi, raggiungendo anche un fatturato superiore a 100.000 euro annui. Tuttavia, anche in queste regioni, le sfide sono state significative. “Molti di coloro che hanno protestato rappresentano un modello agricolo industriale in crisi. Chi possiede oggi un’azienda di dimensioni medie o grandi deve affrontare numerosi problemi e costi, e senza consistenti risorse pubbliche, la sopravvivenza è compromessa”, sottolinea Antonio Onorati dell’Associazione Rurale Italiana.

I debiti si accumulano rapidamente a causa delle innovazioni da implementare, della dipendenza dai fertilizzanti chimici e degli allevamenti sempre più tecnologici, ma complessi da gestire. L’acquisto di sementi, spesso soggette a brevetto, e pesticidi è un ulteriore peso. In molti casi, entrambi gli elementi sono prodotti dalle stesse multinazionali come Bayer-Monsanto, Basf e Syngenta. In questo contesto, i “piccoli” dimostrano talvolta maggiore capacità di resilienza e inventiva, ma ciò non è sempre sufficiente.

Di ogni 100 euro spesi, 32 euro sono destinati alle operazioni logistiche, mentre solo 5 euro vanno direttamente ai produttori effettivi
La scultura rovesciata dagli agricoltori presenti a Bruxelles davanti al Parlamento europeo, nell’ambito della loro protesta contro retribuzioni insufficienti e condizioni di mercato ingiuste. Immagine catturata da Alessia Capasso.

 

Spendiamo di più per ottenere prodotti di qualità inferiore

Il 31 gennaio, durante il European Food Forum, rappresentanti del settore agricolo, organizzazioni non governative, consumatori e delegati delle industrie di trasformazione e conservazione, insieme a quelli della distribuzione, hanno partecipato a un incontro. I rappresentanti della distribuzione affermano di essere aperti all’ascolto e pronti a innovare, ma trovano difficile modificare i loro modelli di business. Els Bedert di EuroCommerce, l’organizzazione europea che rappresenta sia la grande che la piccola distribuzione, ha dichiarato: “Le buone pratiche si stanno diffondendo nei nostri negozi, ma è molto difficile pensare a nuove regole quando si è troppo impegnati a mantenere in vita la propria attività”. In un mondo che si muove rapidamente nel fare affari, è l’anello debole a subire le conseguenze finanziarie.

“Coloro che sono coinvolti nella produzione hanno una limitata capacità di negoziazione. Nel settore ortofrutticolo, dalla fase della piantina alla mela, spesso sono le aziende sementiere, molte delle quali straniere, che detengono i diritti di proprietà intellettuale sui semi, a determinare i prezzi”, racconta Onorati a Today. “Ad esempio, il pomodoro da industria è spesso oggetto di trattative preventive o, peggio ancora, post-vendita, e il prezzo scende al di sotto dei 10 centesimi al quintale. A beneficiare sono solo le aziende di trasformazione”, precisa ancora il coltivatore, che è anche membro di Via Campesina, un’organizzazione che difende l’agricoltura familiare in Europa.

I consumatori sono anch’essi svantaggiati, trovandosi a pagare di più per prodotti di qualità inferiore, spesso contaminati e privi di sapore. “I consumatori desiderano opzioni più salutari e sostenibili, ma l’accessibilità è fondamentale, poiché questi alimenti non possono essere troppo costosi. Il prezzo rappresenta uno dei principali ostacoli per un’alimentazione di qualità, e non tutti gli aumenti di costo dovrebbero ricadere sulle spalle dei consumatori”, afferma Els Bruggeman di Euroconsumers.

Cibo di prossimità

Riavvicinare agricoltori e popolazione potrebbe essere una soluzione, ma con la scomparsa di numerose aziende agricole in Italia e in Europa, diventa sempre più difficile. “La lattiera cooperativa di Dobbiaco, quando in Italia il produttore veniva pagato 28 centesimi al litro di latte, già pagava 50 centesimi agli allevatori della zona. Anche se l’industria e la distribuzione potrebbero pagare di più, è necessario un meccanismo obbligatorio che protegga gli agricoltori”, sostiene Onorati. È fondamentale riportare al centro l’attenzione su contadini e prodotti locali, coinvolgendo anche il settore della ristorazione. Per evitare che tali iniziative diventino casi isolati, è necessario moltiplicare tali interventi e favorire la loro diffusione su vasta scala. “Esistono molte esperienze efficaci nei vari territori che, secondo noi, costituiscono la base per rilanciare un sistema alimentare sostenibile per tutti”, afferma Marta Messa, direttrice dell’ufficio Slow Food di Bruxelles. “Penso, ad esempio, alla città di Bordeaux, che ha un ampio consiglio per la politica alimentare in cui i vari attori partecipano e collaborano, o a Copenaghen, che sta lavorando per agevolare l’accesso dei piccoli produttori locali al mercato delle mense pubbliche, adottando modelli più flessibili per i contratti e organizzando sessioni di dialogo tra i vari attori”, aggiunge Messa.

Dopo le proteste, Ursula von der Leyen ha annunciato alcune deroghe alla nuova Politica Agricola Comune (PAC), cedendo parzialmente alle pressioni delle grandi organizzazioni agricole. Mettere in discussione un sistema malato sarà una sfida ardua. Se non si inizia dalla base, saranno difficilmente le grandi aziende agroalimentari a preservare la diversità dei nostri territori, e rischiamo di acquistare cibo di scarsa qualità, insapore e ingiustificatamente costoso.