Crollo delle vendite immobiliari in Germania: l’economia rallenta e le grandi aziende investono all’estero

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Crollo delle vendite immobiliari in Germania: l'economia rallenta e le grandi aziende investono all'estero

Se qualcuno di voi sta pensando di aprire un negozio ad Amburgo o lungo il fiume Reno, potrebbe essere il momento opportuno. Secondo gli ultimi dati di mercato immobiliare, le vendite di immobili commerciali in Germania sono crollate del 50% nei primi sei mesi del 2023, con conseguenze devastanti per le società del settore immobiliare. Vonovia, il principale attore del settore, ha subito una perdita del 14% nei primi sei mesi, risultando la peggiore nel paniere delle azioni dell’indice Eurostoxx 50. Le prospettive a breve termine non offrono molte speranze: si prevede che le transazioni saranno un terzo in meno rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Anche in Germania, patria della rigida Bundesbank, l’aumento dei mutui ha spaventato gli acquirenti. Nel frattempo, i prezzi degli immobili stanno diminuendo, ma non troppo: in molti casi, il peso dei debiti accumulati negli anni di prosperità rende impossibile vendere al di sotto di certe soglie. La situazione non è molto migliore nemmeno per il mercato immobiliare residenziale, come evidenziato da uno studio di Bnp Real Estate che segnala un crollo del 69% nelle operazioni rispetto al 2022.

Crollo delle vendite immobiliari in Germania: le industrie si rivolgono all’estero

La preoccupazione per la salute del motore principale dell’economia europea è evidente anche attraverso il rallentamento dell’indice PMI dei servizi in Germania: solo 50,4 rispetto al dato di maggio di 53,9, in linea con la diminuzione delle prospettive del settore manifatturiero. Nonostante ciò, la borsa tedesca si mantiene vicina ai massimi storici. Tuttavia, la forza delle grandi aziende, impegnate in sforzi significativi di internazionalizzazione, viene vissuta con un certo malcontento sia dalla politica che dall’opinione pubblica. Uno studio condotto dall’Istituto Economico Tedesco (IW), basato sui dati dell’OCSE, rivela che nel 2022 la Germania ha effettuato investimenti diretti esteri per 125 miliardi di euro, mentre gli investimenti diretti esteri in Germania si sono fermati a soli 10,5 miliardi di euro. Questo flusso di capitali verso l’estero non accenna a diminuire: Basf, ad esempio, sta per creare la più grande struttura produttiva in Cina per mantenere le sue posizioni nel Paese. Allo stesso modo, i colossi dell’industria automobilistica stanno valutando gli incentivi offerti dal piano di Biden per coloro che producono sul suolo americano. Oggi è stata annunciata anche la notizia di nuovi investimenti miliardari da parte di Volkswagen in Brasile.

Riorientamento delle industrie: La transizione è un processo complesso

È giustificato l’allarme per la fuga delle industrie? In realtà, ha più senso parlare di una transizione complessa per un paese che improvvisamente si sente invecchiato. La leadership tedesca nel settore automobilistico è stata messa in crisi dalla transizione verso l’auto elettrica: la tradizionale eccellenza meccanica del made in Germany ha meno rilevanza nell’era dell’auto elettrica. Le grandi aziende automobilistiche si stanno rendendo conto della necessità di acquisire know-how e personale specializzato dalle grandi aziende dell’elettronica negli Stati Uniti. Senza dimenticare i dieci miliardi di euro garantiti a Intel per lo sviluppo di un impianto di chip in Sassonia, la “terra promessa” degli investimenti nel settore dell’auto elettrica, che inoltre fa ponti d’oro con Catl, leader cinese delle batterie, affinché apra uno stabilimento in quella zona.

Economia europea: stime prudenti in vista del rallentamento della locomotiva tedesca

Le recenti dinamiche suggeriscono cautela riguardo alle prospettive dell’economia europea nei prossimi mesi. Con tutto il rispetto per la flessibilità del “made in Italy”, è difficile immaginare una crescita sostenuta dell’industria italiana in assenza di un solido impulso dalla Germania, dalla quale dipende in molti aspetti. A conferma di ciò, l’indice PMI composito finale di Hcob, compilato da S&P Global e considerato un valido indicatore della salute economica della regione, è sceso a giugno a 49,9 punti rispetto ai 52,8 di maggio, registrando il primo segnale di contrazione dall’inizio dell’anno. Le stime sono attualmente a 50,30 punti, appena sopra la soglia di espansione/contrazione di 50 punti.

In sostanza, si avverte che la principale economia europea sta affrontando una delicata revisione del suo motore, un’operazione tanto urgente quanto complessa a causa dei costi dell’energia non competitivi, delle sfide nel commercio internazionale e della crisi dell’economia globale.